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Halloween all’Italiana tra cibo, feste e memorie

Il Ottobre 30, 2019Ottobre 31, 2019
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Il 31 ottobre milioni di bambini italiani si sono americanizzati e, al pari dei loro coetanei statunitensi e canadesi, si lanciano in macabri travestimenti di zombie e vampiri, bussando alle porte dei vicini, recitando la magica formula “dolcetto o scherzetto?”, evitando di lanciare influenze negative, in cambio di un pugno di dolci e caramelle.

Influenza delle tradizioni europee su Halloween

Questa strana usanza nordamericana ha invaso il mondo e raggiunto il nostro Paese, tanto ricco di tradizioni e di riti, fin dalla notte dei tempi, al punto da immaginare che vi sia un ponte, almeno ideale, tra le nostre feste, legate ai santi e ai morti e quelle della terra di Halloween.

E in un certo senso il ponte esiste, dato che il nuovo continente si dice tale proprio perché si alimenta delle migrazioni che nei secoli sono succedute, dai tempi di Colombo fino ai giorni nostri. Non è escluso, quindi, che vi siano continuità determinate dall’attualizzazione di feste cristiane e celtiche, rivisitate e aggiornate, fino a diventare quella che oggi conosciamo, anche dalle nostre parti, come la notte di Halloween.

Suonano le campane

In Italia le feste, le sagre e i momenti di vita collettiva riconducibili al culto dei defunti e alle varie forme per addomesticare le paure e gli incubi legati al triste evento, sono davvero tantissime e attraversano in lungo e in largo l’intero stivale. L’Italia dei campanili che suonano ininterrottamente per richiamare le anime dei cari e farli affacciare alle finestre dei vivi è un’usanza ancora presente in Trentino. Mentre in Sardegna le campane assumono un significato diametralmente opposto, tanto da essere suonate ininterrottamente per allontanare gli spiriti maligni.

Elemosina, dolci e cioccolatini

In Emilia Romagna erano i poveri ad andare casa per casa, un po’ come fanno oggi i bambini travestiti da morti viventi, solo che invece di chiedere dolci e cioccolatini, pregavano per avere l’elemosina. Persino le zucche, tanto care all’iconografia nordamericana, le ritroviamo ancora in Sardegna, dove in taluni territori vengono scavate e posizionate sui davanzali delle finestre, questa volta per consentire alle anime in pena di avvistare le case in cui hanno trascorso i momenti salienti quando erano in vita.

Il cibo tra la vita e la morte

E naturalmente questi riti di ricongiungimento tra la vita e la morte, meglio dire tra vivi e morti, trovano un’insaziabile linea di congiunzione nel cibo, nella tavola bandita a festa, nei dolci, nel vino e nella pasta ma soprattutto nelle memorie familiari che continuano a mantenere vivo il ricordo di nonni e avi, in nome delle loro gesta e in funzione della continuità della storia familiare, legando passato, presente e futuro.

La festa di zucchero a Palermo

Non soltanto la tavola preparata per accogliere i propri cari, in un rito che si rinnova di anno in anno ma anche momenti meno legati a una dimensione lugubre e cupa e più orientati al gioco e al protagonismo dei più piccini. Succede a Palermo, sebbene si tratti di una tradizione a rischio di estinzione, pare sia diffusa in gran parte delle città dell’Isola, dove prende vita la festa di zucchero, veracemente richiamata anche negli scritti di Camilleri.

Nella “notte di zucchero”, detta anche festa di pupi e grattugie, i bambini vanno a letto presto, una volta tanto, non vedono l’ora di farlo perché altrimenti i morti non vanno a trovarli, grattando i loro piedini ma risvegliando emozioni positive come la gioia e l’euforia determinata dal solletico. L’indomani mattina saranno premiati con doni, lasciati dalle persone care, scomparse ma ancora presenti nella memoria familiare e per questo in grado di giocare ancora con generazioni dei più giovani.

Dolci, feste, riti e memorie familiari

Durante la festa i bambini palermitani mangiano i pupi di zucchero, mentre quelli catanesi si consolano con le rame. E in ogni parte dell’Isola, come nel resto del Sud Italia, continuano a sopravvivere migliaia di tradizioni accomunate dal cibo e dalla tavola familiare come emblema della nostra struttura sociale ancora profondamente familistica.

Sarebbe davvero un peccato lasciare che questo patrimonio di ricchezze collettive e comunitarie andasse disperso. Si perderebbero i ricordi familiari che scomparirebbero nell’oblio, ma anche l’idea di affermare una memoria gioiosa dei propri cari e non necessariamente lugubre o collegata, come direbbero gli antropologi di scuola italiana, alla crisi della presenza.

di Lucio Iaccarino

 

Immagine: famelici.it

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